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Accesso e valutazione della ricerca: cosa deve cambiare?

supereroi cartoon

Access personaggio tra due mondi, Marvel e DC Comics; rappresenta un punto di unione tra mondi lontani

Occorrono maggiori iniziative volte alla comunicazione e alla messa a disposizione dei saperi e delle competenze degli addetti ai lavori (ricercatori e bibliotecari in contesti di ricerca) nei confronti della società tutta in modo che la società della conoscenza sia tale anche di fatto e non solo di nome.

Il cambiamento è in atto, sotto il comune denominatore del permettere/garantire l’accesso.
L’accesso appartiene a tutti e non deve essere gestito a piacimento degli editori commerciali che, dagli articoli, si stanno ora spostando ai dati, vedendone futuri e ulteriori controlli nel processo della conoscenza.

Nel mondo dei fumetti, c’è un personaggio che appartiene sia all’universo Marvel che all’universo DC Comics, Access, appunto, che è il collegamento e l’ibridazione tra mondi, universi altrimenti lontani.

Introduzione

Partendo dall’articolo Accesso aperto all’informazione, fruibilità e comprensione: tre livelli per lo sviluppo della societàproviamo a concentrarci su cosa accade a un particolare tipo di accesso: quello alla ricerca.

Ovviamente, chi non fa ricerca o non è un bibliotecario in contesti di ricerca può avere più difficolta legate alla comprensione degli articoli scientifici.

Questo, tuttavia, non deve avere nulla a che vedere con la possibilità di accesso.

Semmai, è sulla qualità della comunicazione che si deve investire; e, soprattutto, deve essere realmente una comunicazione e non una semplice informazione che è unidirezionale.

Occorrono maggiori iniziative volte alla comunicazione e alla messa a disposizione dei vari saperi e delle competenze degli addetti ai lavori (ricercatori e bibliotecari in contesti di ricerca) nei confronti della società tutta in modo che la società della conoscenza sia tale anche di fatto e non solo di nome.

La soluzione non è la scienza chiusa, anzi: è il problema; la soluzione è la scienza aperta!

Raccomandazioni UNESCO sulla Open Science

Ana Persic di UNESCO ha parlato, durante il recente OAI12, delle Raccomandazioni UNESCO sulla Open Science.

UNESCO propone che ogni Stato investa l’1% in Open Science e che elimini le barriere che non la rendono possibile, in particolare: le regole di valutazione della ricerca.

Attualmente, i criteri di valutazione della ricerca sono divisi in bibliometrici e non bibliometrici.

Per quanto entrambi i criteri partano dal contenitore/rivista, in un caso abbiamo una misura tesa più verso l’impatto e nell’altro più sulla struttura del contenitore, per intendersi[1].

In un caso si valutano le STEM; in un altro si valuta la ricerca in campo umanistico.

Per quelli bibliometrici sono valutati h-index dei ricercatori e impact factor della rivista.

Con i criteri non bibliometrici, invece, si valuta, soprattutto, l’eventuale fascia A delle riviste dove si pubblica.

Questa differenza è semplificata e banalizzata, tuttavia utile in questa sede.

La valutazione della ricerca deve cambiare

Da tempo si sta pensando di cambiare, in parte, i criteri da valutazione della ricerca, cercando di passare, ad esempio (uno dei tanti proposti), dal considerare non più tanto la “quantità” quanto la “riusabilità”; e cercando di concentrarsi, magari, più sul “prodotto” stesso (l’articolo) che sul “contenitore” (la rivista).

Questa è, però, un’altra storia, qui ridotta all’osso con gli annessi rischi delle banalizzazioni, e, magari, da raccontare in prossimi articoli.

Di recente, tuttavia, durante la Open Science FAIR, Robert Terry dell’OMS (WHO) ha ribadito che:

  • occorre mutare la sequenza dei passi nella comunicazione scientifica: prima il preprint (il preprint è l’articolo non revisionato), poi la revisione;
  • l’era delle riviste ha fatto il suo corso e la “version of record” non ha senso nell’universo dinamico della ricerca;
  • nelle Living Guidelines dell’OMS solo il 25% degli articoli citati proviene da pubblicazioni tradizionali, il resto proviene da preprint;
  • l’Impact Factor è una misura tossica;
  • bisogna permettere che i preprint siano diffusi e ottengano il successo che meritano, se lo meritano, con le loro sole forze, senza il riferirsi al “prestigio” del “contenitore/rivista”.

Il cambiamento è pertanto in atto, sotto il comune denominatore del permettere/garantire l’accesso.

L’accesso appartiene a tutti e non dovrebbe essere gestito a piacimento degli editori commerciali che, dagli articoli, si stanno ora spostando verso i dati, vedendone future e ulteriori proprie gestioni nel processo della conoscenza.

L’articolo Algorithmic Employment Decisions In Academia? ” di Björn Brembs tratta proprio l’argomento degli editori commerciali che si stanno spostando dall’editoria all’analisi e alla capitalizzazione dei dati.

Nel cambiamento in atto volto a non permettere più il dominio sull’accesso, i ricercatori sono chiamati a fare la loro parte.

Johan Roorick (PlanS) parla di “strategia di conservazione dei diritti”; i ricercatori, infatti, dovrebbero far valere i loro diritti intellettuali e prendere visione e aderire alle iniziative in tal senso.

Abbiamo visto, negli articoli “Accesso aperto all’informazione, fruibilità e comprensione: tre livelli per lo sviluppo della società” (citato prima) eL’accesso all’informazione è inclusione”, come l’accesso, nel senso più ampio del termine, sia la parola chiave e debba essere considerato universale, un diritto, per una lunga serie di servizi.

Nel mondo dei fumetti, c’è un personaggio che appartiene sia all’universo Marvel che all’universo DC Comics: Access, appunto, che è il collegamento e l’ibridazione tra mondi, universi altrimenti lontani.

Credo che l’immagine di Access sia quanto mai evocativa e possa valere anche per i contenuti della ricerca.

Nel frattempo, è uscito un Position Paper di ISC (International Scientific Council) che riguarda la scienza come bene comune globale.

Al suo interno il focus è sull’etica, la comunicazione della scienza impedita dagli interessi dei grossi editori commerciali, sulla responsabilità collettiva in quella che è la comunicazione della scienza e sulla Open Science come “public enterprise[2]”.

ISC aveva già pubblicato “Opening the record of science: making scholarly publishing work for science in the digital era” con l’elaborazione dei “principi per la pubblicazione scientifica”.

Di notevole interesse anche la riflessione “What Even Counts as Science Writing Anymore? che si chiede come “comunicare la scienza” durante la pandemia, non tralasciando, tuttavia, cosa sia diventata la comunicazione scientifica a causa dei perversi incentivi che ci sono, ormai, da molto tempo.

E noi, come società tutta, siamo pronti a uscire, finalmente, dal concetto obsoleto e poco “trainante” della scienza chiusa e competitiva (nel senso di non collaborativa; non nel senso di “eccellenza”) e di aprirci alla scienza collaborativa e alla condivisione per far progredire la conoscenza?

Note

[1] Si prega di prendere questa frase come semplificazione estrema, per non addetti ai lavori; ci si scusa con gli addetti ai lavori per questa semplificazione che un po’ banalizza un tema altrimenti complesso.

[2] Dal Position Paper di ISC fino alle riflessioni successive sul comunicare la scienza durante la pandemia, si prega di vedere la lista di discussione OA Italia di cui i punti citati costituiscono una rielaborazione.