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Giornalista corrispondente dall’estero: ha ancora un senso?

Globalizzazione, mondo interconnesso, “questione di click”: sono le parole chiave per un qualunque dibattito sul giornalismo di oggi. Da sempre il concetto di informazione è legato indissolubilmente alle tecnologie di cui possiamo disporre e sarebbe dunque ormai banale raccontare quanto veloci viaggino le notizie, grazie alla diffusione del web: è “questione di click”, appunto. Ma che succede se le notizie che vorremmo conoscere accadono in un paese diverso dal nostro? In passato non c’era altro modo di raccontare l’estero senza viaggiare, dettare pezzi al telefono, escogitare modi per far arrivare il proprio racconto dall’altra parte del mondo. Se oggi, invece, per reperire informazioni, basta accendere il computer, ha senso ancora la figura del corrispondente dall’estero?

Ri-Partiamo

Sorvolare con passaggio radente il mondo dei media senza mai perdere d’occhio l’orizzonte è un esercizio ambizioso, certamente utile, complesso almeno quanto la stessa complessità che si propone di risolvere.

Media Studies è nata per riuscire in questo intento, finalizzandolo al confronto, all’analisi e alla successiva divulgazione. Attraversiamo una fase storica in cui le tecnologie di comunicazione evolvono con rapidità tale da riverberarsi come onde d’urto nel sociale. Un divenire spesso così veloce da far sì che la diffusione della notizia sopravanzi quella della conoscenza, che va nel frattempo a conquistare un valore fondamentale, probabilmente mai prima così rilevante.

Il lento spegnersi dei giornali

Da tempo immemore ormai, i giornali sono in profonda crisi.

Per dare solo un’idea della dimensione attuale di questa situazione, basti pensare che in Italia, dal 2016 ad oggi, le copie cartacee dei quotidiani vendute sono diminuite di quasi 1 milione di unità (che sui 2,4 milioni del 2016 è il –44%) e, paradossalmente, anche la vendita di quelle digitali è diminuita notevolmente, passando da 217mila a poco più di 156mila (-28%).

La letteratura sulla materia è ormai enciclopedica, le analisi più o meno scientifiche, accademiche e consulenziali, che tentano di inquadrare la situazione, sono migliaia.

Eppure, nonostante questa enorme e profonda presunta conoscenza del problema, il problema, con la dinamica di un tumore metastatico, continua a crescere, a divorare e distruggere grandi porzioni di quello che potremmo immaginare come un organismo vivente malato, il “corpo dell’informazione”.

Giovanna Cosenza: la parità di genere? Un miraggio, anche per i media

Nonostante le molte battaglie, come il #MeToo o il #TimesUp, nel 2020 la parità di genere nei media è ancora un obiettivo lontano. A dirlo, questa volta, è WAN-IFRA, organizzazione mondiale di editori e giornali, in una guida appena pubblicata destinata proprio alle aziende editoriali.
La situazione italiana non è migliore; per Giovanna Cosenza, professoressa ordinaria di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università di Bologna sono necessari supporti normativi.

Problemi etici dell’Intelligenza Artificiale

L’intelligenza artificiale crea discriminazione di genere o di razza? Crea disparità tra i Nord ed i Sud del mondo? In che modo individuare principi e regole etiche applicabili su ampia scala a queste nuove tecnologie?

A queste ed altre domande tenta di rispondere il rapporto annuale sullo stato dell’Intelligenza Artificiale dell’istituto AI Now, ente di ricerca della New York University. Pubblicato lo scorso dicembre, il rapporto intende fotografare i vari aspetti e le criticità che le nuove tecnologie di IA pongono nel loro impatto con la società.

La verità ne vale la pena

Stanotte, durante la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards, da noi meglio conosciuti come “Oscar”, tra un grande regista, una diva sul red carpet e la consegna delle statuette, per 30 secondi gli spettatori hanno potuto vedere l’ultimo spot del The New York Times, su uno dei progetti editoriali di maggior successo della testata statunitense, il ”The 1619 Project”.

Coronavirus, un vaccino per l’informazione​

Il coronavirus, più che per il numero di persone colpite e di decessi, potrebbe entrare negli annali come l’epidemia che cambiò i social network.

Il coronavirus, più che per il numero di persone colpite e di decessi, potrebbe entrare negli annali come l’epidemia che cambiò i social network.

Per la prima volta in questa circostanza Facebook ha vestito i panni di editore globale ed ha annunciato la rimozione delle false notizie sul virus e sulle possibili cure. Pari manovra riguarda Instagram, che fa sempre capo al gruppo di Mark Zuckerberg. L’annuncio è stato dato il 30 gennaio in forma ufficiale e con termini inequivocabili in una news dal titolo “Keeping People Safe and Informed About the Coronavirus. Interventi simili finora avevano riguardato situazioni circoscritte, come la rimozione in Italia della citofonata di Salvini, o delle notizie fuorvianti sul vaccino antipolio in Pakistan, su richiesta governativa.

Gli algoritmi, i sociologi e l’approccio multidisciplinare.

Si è svolto lo scorso 23 gennaio a Napoli, nell’Aula Magna dell’Università Federico II, il Convegno dal titolo “’Algoritmo: Sociologia e Informatica”. Il Convegno costituiva anche la prima sessione, plenaria, del XII Congresso dell’Associazione Italiana di Sociologia.

Il Congresso è stato introdotto dai saluti del Sindaco, Luigi De Magistris e chiuso dall’intervento del Governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca e si è svolto in una sala strapiena di sociologi ed esperti provenienti da molte città italiane.

Spalmala ancora, Luca

Gli addetti ai lavori passeranno oltre sentendo parlare di newsjacking, l’agganciarsi a un protagonista o a un fatto, per approfittare della sua risonanza mediatica. Eppure è importante affrontare la questione, perché c’è ancora una maggioranza pronta a definire “maghi” della politica, “geni” delle strategie mediatiche, “campioni” della conquista degli umori popolari, soggetti che in realtà hanno un’empatia prefabbricata da altri attraverso l’analisi delle tendenze.

Gli addetti ai lavori passeranno oltre sentendo parlare di newsjacking, l’agganciarsi a un protagonista o a un fatto, per approfittare della sua risonanza mediatica. Eppure è importante affrontare la questione, perché c’è ancora una maggioranza pronta a definire “maghi” della politica, “geni” delle strategie mediatiche, “campioni” della conquista degli umori popolari, soggetti che in realtà hanno un’empatia prefabbricata da altri attraverso l’analisi delle tendenze.

Roba delle cronache dei giorni nostri, in cui si procede, e si comunica, per livelli. C’è quello superficiale, una spuma vista dai più e ritenuta dai medesimi esaustiva della realtà. Su quel livello, disgraziatamente, fluttuano informazioni di ogni tipo, per lo più prive di ancoraggio, di sostanza, eppure dotate di velocissima capacità di propagazione e di penetrazione.

La bolla e “the Donald”: quando la Rete si mette a ragionare

Due questioni separate da un oceano, prive di connessioni fra loro eppure legate da una considerazione: il comportamento umano si conferma di ordine superiore e imprevedibile rispetto alle previsioni di condizionamento e contagia anche la rete.

Un lavoro pubblicato di recente da un gruppo di studiosi di cui fa parte Walter Quattrociocchi, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, evidenzia, attraverso l’analisi dei flussi di informazione su Twitter, che il temuto fenomeno delle fake news ha avuto influenza estremamente limitata sulla campagna per le ultime elezioni Europee.